Quanti punti ci sono alla fine del Mondo?
Nel 41° numero della newsletter di Bagaglio Leggero ti portiamo a Ushuaia.
In questi mesi mi sono sentita sopraffatta. Da un lato la voglia di raccontare quello che vedevo e quello che stavamo vivendo: mille stimoli, montagne diverse, sentieri da esplorare, ritmi da prendere, quattro cambi moneta da capire e poi quella vegetazione… dio com’è diversa la vegetazione qui.
Di ogni cosa avrei voluto leggere un saggio, ho avuto voglia di annusare tutto, di assaggiare tutto, di riempirmi gli occhi di curiosità e di non perdermi nessun dettaglio.
E così ho fatto.
Mi sono immersa in due mesi di libri sul Sudamerica e sulla Patagonia, che vite, che storie! Mi sono lanciata su percorsi che sembravano infiniti e a ritmi serratissimi: a El Chaltèn tutti i sentieri superano i 20 km, ma gli affitti costano un occhio della testa, che fai… non vorrai mica riposarti, vero? Ho chiacchierato con tutti i local che mi sono capitati sotto tiro, scoprendo storie incredibili, spesso così lontane dal nostro sentire che mi sono sentita a disagio per il privilegio di essere nata in Italia. Ho fotografato più piante di quante la memoria del mio telefono potesse contenere, arrivando a poterne chiamare alcune per nome. Ho assaggiato il mate e l’ho odiato. Ho assaggiato il dulche de leche e l’ho amato, anche se nel dubbio continuo ad assaggiarlo.
E poi siamo arrivati a Ushuaia. Di questo posto si sa che è la città più a Sud del Mondo, tanto che le scritte “fin del mundo” si sprecano tra negozi, blog e social.
E poi?
Più o meno la narrazione si interrompe qui.
Come se il dato geografico rappresentasse già tutto quello che c’è da sapere su Ushuaia, per il resto basta il classico “7 cose da vedere” e il gioco è fatto. Spoiler: tra queste c’è -ovviamente- sempre l’immancabile cartello della “Fine del Mondo”.
Il fatto è che, anche solo stando seduta nella “veranda” di casa, vedo così tante cose che mi sembra impossibile riuscire ad elencarle tutte. Così ci provo, a dirti quello che vedo, sperando che tu possa sentire quello che sento.
Uno splendido sole mi scalda, sulle montagne davanti a me sta nevicando. Le montagne distano 10 minuti a piedi. Stanotte la nostra casa oscillava da quando vento c’era. Scherzando lo chiamano “meteo bipolare”. Mi domando cosa succeda ad una persona meteropatica qui!
Le case attorno a noi sono tutte di lamiera ondulata grigia o rossa, le più vecchie - come la nostra - di legno, e davanti a tutte le abitazioni troneggiano i lupini artici di mille colori. Da dove sono dovrei poterne sentire il profumo, ma tutto il quartiere sta grigliando asado “nei cavalli di metallo”* che tengono in giardino.
La spazzatura si butta in buffi cestini metallici ad altezza pancia, ogni casa ha il suo. Immagino che sia per evitare che i cani ci rovistino dentro.
Davide sta bevendo il mate, un miscuglio di erbe che superano la soglia dell’amaro e che, per qualche motivo, gli ha creato ormai dipendenza. O meglio, ha sostituito quella dal caffè.
Mi alzo per immortalare questo bellissimo momento di pensieri liberi, metto il telefono sul cavalletto, torno verso la casa e arriva Golfo, uno dei tanti perros che girano qui attorno.
La fine del mondo è un punto geografico, una cosa sola, un punto. Ma qui di punti ce ne sono tantissimi.
* dei “cavalli di metallo” ne parla Davide nei suoi dispacci dal Sudamerica: li puoi leggere su
.Le sette cime
Sette. Un libro su queste terre: Francisco Coloane, Una vita alla fine del mondo. L'abbiamo letto entrambi, ogni tanto torcendoci le mani nell'attesa che l'autore facesse i conti con la troppo rimbalzante modalità dei “racconti di un anziano”. Secondo Davide – che ha messo il turbo per finirlo perché gli premeva Magellano di Stefan Zweig – è un peccato che non l'abbia scritto qualche anno più giovane. Ma una frase come “La Patagonia somiglia a un vasto mare, ha i suoi stessi orizzonti. Un uomo a cavallo che si allontanava avvolto nel poncho di lana bianca, sembrava la vela di una barca chiloese”, ripaga di tutto.
PS Dire che Davide abbia poi amato Magellano, è un eufemismo. Adesso, nelle lunghe ore di camminata, non parla d'altro, e per fortuna che non ci sono più stretti da scoprire.
Sei. Il “clima bipolare” al quale accenna Silvia ci fa mettere le mani nei capelli ogni volta che dobbiamo programmare un'escursione. E sono mesi che vaghiamo da un'app di previsioni all'altra. Ognuno deve scegliere il proprio riferimento e fidarsi, dice il saggio. Ma nell'arco di un giorno qualsiasi, qui si passa da venticello e cielo coperto a sole, poi a temperature attorno allo zero e qualche fiocco di neve, un po' di pioggia, vento da 50 km/h che libera il cielo e bel sole caldo, infine la sera nevica sulle cime e tutti a letto, perché è stata una faticaccia.
Cinque. Un sapore non (ancora) provato: il Pan de Indio. Che non è un pane bensì un fungo, una palletta arancio-rosea morbida che cresce da bozzi legnosi. Cyttaria harioti, morbido quando è fresco, gommoso e poi solido quando si stacca dall'albero, era consumato dagli indigeni. Se ne trova in gran quantità, nei boschi patagonici: diversi siti dicono che ci puoi fare questo e quell'altro, mangiarlo crudo o cotto o in conserva o in insalata... ma nessuno dà istruzioni chiare a riguardo. Uff.
Quattro. Avviso ai non naviganti. Avevamo messo gli occhi sul trekking dei Denti di Navarino, sull'omonima isola che fronteggia la città. Ma Navarino, da Ushuaia, non è più raggiungibile: è terra cilena, e con il Covid hanno approfittato per chiudere l'ufficio di dogana. Che beffa: sono solo 7 chilometri di mare, oltre i quali i Dentes ci guardano, innevati e bellissimi.
Tre. Ma la vita non è solo libri e nomi latini di funghi. Era la sera dell'ultimo dell'anno quando abbiamo scoperto, lanciando una top playlist argentina, la canzone Ni Una Ni Dos, di tale BM. Da quel momento, tormentone totale e canzone guida di questo viaggio. Entra anche tu nel circolo:
Due. Come sono i rifugi in Patagonia? Pochi. Ok, la risposta doveva essere un'altra. Però il primo dell'anno siamo al saliti al Puesto Cagliero, a nord di El Chaltèn, e ci siamo innamorati di ogni dettaglio. Il legno, i divani con le coperte andine, la finestra vista ghiacciaio, la combo cafecito (o teito) e crêpe al dulce de leche, i libri e le riviste consunte, le tracce di alpinismo ed escursionismo, la stufa che giusto in quel momento stavano accendendo, il contegno hippie dei giovani gestori.
Uno. Quando leggerai questo numero di Fuori traccia, noi avremo appena superato il mese e mezzo di viaggio. Non tutte le cose sono facili – quelle che riguardano il portafoglio, ad esempio, specie in Patagonia – e i giorni richiedono equilibri e magia, tra lavoro, luoghi da raggiungere con i mezzi per camminare, nuove abitudini da ingranare ogni quindici, venti giorni. Ma non passa settimana che, seduti sul divano a guardare fuori dalla finestra e non fare nulla in particolare, non ci diciamo: ma quante cose abbiamo vissuto, in questo viaggio.
Non serve altra giustificazione.
Mi ci mancava solo anche il video di Ni Uno Ni Dos.. 🤣🤗
1000 punti a voi, sempre bello leggervi 😊